30 maggio 2007

Il Profumo di Roma

Roma! nome pieno di mistero.

Dal momento che codesto nome si levò su le nazioni, nessuna voce l’ha mai pronunziato senz’odio o senza amore, e non si sa se maggiore sia stato l’ardore dell’odio, o la passione dell’amore. Mentre la vanità dello spirito moderno si vanta di conciliar tutto, l’odio e l’amore di Roma continuano la loro lotta, più aspra che mai. Roma trionfante, dominatrice delle nazioni! Roma assoggettò tutta la terra e si nutrì della carne dell’umanità intera; Roma prese tra le sue braccia potenti il genere umano, come un bambino malaticcio, e gli fece respirar l’aria salubre delle cime, l’ha nutrito delle carni di Gesù, il Dio vivente.
Dio sia benedetto! Io sono fra coloro che Roma accolse tra le sue braccia, feriti, minacciati della vecchia morte del peccato. La sua mano luminosa mi ha trasportato sulle altezze divine, le sue mani materne mi han tratto a respirare l’aere del Cielo, la sua santa mano mi ha nutrito d’un divino alimento. Io ho ricevuto da lei la vita, e le dò in cambio l’amore. Quand’io vidi Roma per la prima volta, ignaro della morte e ancor più della vita, ma agitato da un istinto misterioso: quand’io vidi questa Roma augusta e ne respirai il profumo, allora seppi che cos’era l’amore.
Il profumo di Roma? Quale il Cristianesimo l’ha formata, Roma è la città delle anime. Essa ha un accento che ogni anima può intendere: ma lo spirito senz’anima non può. Lo spirito scettico, nei ministri del culto divino, non vede che la fragilità umana. Nota la macchia sul marmo, la ruga sul viso e domanda ove sia la Divinità. Canticchia una canzonetta mentre s’innalza la preghiera, si copre la fronte quando scende la benedizione. Egli dice alla benedizione: « Cerca altre fronti meno altere della mia; la mano che ti accenna non è che una mano mortale! » Così, attraverso la Città santa, lo spirito orgoglioso si ostina e si gonfia di superbia tamquam pullus onagri.
Goethe, spirito pagano, non ha conosciuto la vera Roma. Egli si è fermato all’involucro esteriore. Ne respirò il profumo, alla guisa di quei profani che s’introducono quasi furtivamente nei nostri templi, e rimangono estasiati, ma non sanno che gl’inni e i vestimenti sacri e il fumo dell’incenso sono anch’essi una preghiera. Goethe, da buon pagano, ricantava i poveri versi d’Ovidio, e portò l’ultimo suo saluto al Campidoglio. La grande Roma cristiana, ancora una volta padrona del mondo, questa Roma spirituale, nostro amore e nostra gloria, egli l’ha appena intraveduta.
Vederla e comprenderla è dato solo all’occhio semplice della fede. Come Iddio che la riempie, essa si nasconde ai superbi. L’orgoglio dello spirito la percorre, ma non la discopre. Felice colui che può sospettare almeno che essa esiste, sentendone in cuore l’influsso benigno!L’umile che di lontano s’è inginocchiato dinanzi alla Croce imperitura, che ha toccato con la sua fronte il pavimento santo; il figlio della Chiesa che ricorda Cesare ma onora Pietro, è il vero ospite di Roma. Essa parlerà al suo cuore.Come la casa del padre è aperta al figlio amorevole, così Roma pure gli è aperta. Egli percepirà il senso delle sue armonie, il fascino travolgente de’ suoi profumi; la comprenderà e l’amerà e porterà in cuore il ricordo imperituro del suo amore. O Dio del cielo e della terra, che avete scelto Roma come un punto tra il cielo e la terra, nel quale Voi degnate scendere e a noi è dato salire, affine di poter gettare uno sguardo negli splendori del Cielo, e di vederVi e di toccarVi e di ricevere nelle nostre orecchie mortali l’eco del suono della Vostra voce;O Dio degli angeli e degli uomini, Dio dei poveri, Dio dei deboli, Dio clemente che create in noi i buoni desideri e li ascoltate;Siate benedetto d’avermi chiamato nella vostra Roma, d’avermene rivelato i profumi, d’avere aperta la mia intelligenza alla sua parola, d’aver purificati e illuminati gli occhi miei nella sua luce! In quell’istante io conobbi il Cielo e la terra, conobbi me stesso e Voi!In quell’istante io pensai ai miei antenati sconosciuti. Chi recò loro la fede? Da quale sorgente sgorgò il ruscello che doveva giungere fino al loro povero accampamento selvaggio? Fu un legato di Roma che segnò la Croce sulla loro fronte.
Divenuti figli di Dio, vissero consolati all’ombra della Croce. Quando si trattò di strappare loro la Croce, e con essa la loro eredità divina, allora accorsero in loro difesa i legati di Roma e la luce rimase nelle loro anime, e la libertà e la speranza consolarono ancora i loro cuori, e mi trasmisero un sangue cristiano.
O Roma, o dolce madre dei popoli, sii benedetta pei doni che hai largito a’ miei padri; sii benedetta per le gioie che hai versato durante tanti secoli su questi umili lavoratori, povera gente destinata alla fatica e alle pene!Sii benedetta per le virtù che tu loro insegnasti, per le umili preghiere che ponesti sul loro labbro, per le briciole di pane e le gocciole d’acqua che essi, nella loro miseria, offersero agli indigenti; sii benedetta pei raggi che illuminarono le loro fronti madide di sudore!

Louis Veuillot

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