31 dicembre 2006

Roba vecchia

Ecce bombo ! Roba vecchia pronta per essere scaraventata giù dalla finestra questa sera di fine d' anno. La televisione, i politici, i provvedimenti della finanziaria: tutta roba vecchia, buttiamoli via. Anche Internet sembra accusare il peso degli anni e tra breve avremo una rete di nuova concezione ultraveloce e accessibile a tutti e facilmente consultabile. Ce lo spiega Federico Ronchetti qui . Al giorno d'oggi invece ci commuoviamo anche a vedere certi comunisti ultraottantenni che si fanno intervistare, su RAI3 ovviamente, mentre parlano del loro essere ancora, oggi, comunisti. Forse sono convinti anche loro che il comunismo è: difendere i proletari dalla oppressione dei ricchi.
Questi vecchietti su RAI 3, ancora comunisti, dubitano ancora che l'uomo (americano) sulla luna ci sia mai arrivato.
Come da manuale, a sinistra ci si combatte in casa. Nella cosa o casa comune comunista, sono di casa, da tempo, dei nuovi inquilini, si tratta dell' orda neopagana dei fascio-comunisti.
I fascio-comunisti sono personaggi senza tempo, non dichiarano l'età; si aggirano per l'aere informatico con nicknames spregiudicati e muscolosi; sono però prontissimi a ripiegare (hanno il biglietto aereo pronto) in sud America non appena sentiranno il primo accenno di pugna.
Buttiamoli via !
Oppure regalate loro un bel PC collegato alla rete; quella nuova però.

29 dicembre 2006

Una Finanziaria pesante

La finanziaria più pesante del dopoguerra è stata cambiata una volta ogni 5 ore, per un totale che ammonta a più di 350 modifiche. Questi fanno sul serio; perché non tutti i PC in circolazione ( quanti di noi hanno ancora un vecchio PC con Windows 98 !?) potranno digerire il testo della finanziaria: 22,5 Mega ! Si tratta di 600 pagine e un articolo di ben 1.365 commi. Per lavorare, hanno lavorato, al governo; più di una nomina ogni 24 ore e per l'esattezza ben 1,6 di media giornaliera; 264 nomine tra dirigenti pubblici e amministratori e sindaci di società controllate. Il tutto in 226 giorni tenuto conto dei fine settimana, Ferragosto e Natale. Assolutamente nulla a che vedere con la politica, visto che tra i nuovi nominati e i confermati ci dovranno pur essere quelli che erano col precedente governo. Niente politica! Lo vediamo bene tutti i giorni in forum politico e anche nella prestigiosa sede del Senato della Repubblica. Nel forum politico siamo infestati da pseudo-camerati di destra comunisti; nel parlamento abbiamo senatori a vita ebrei che votano per il governo più antisemita, più filopalestinese e antiisraeliano della storia della repubblica. Sarò andato fuori tema ? Chissà ! Cosa c'entra la finanziaria con la politica non lo sappiamo; il mio hard disk deve ancora digerire il file scaricato dalla rete. Ne riparleremo.

28 dicembre 2006

Comparazioni fra sistemi pensionistici

( Postato da Re di Roma )

SISTEMA PENSIONISTICO SVEDESE
La riforma approvata nel 1999 è entrata in vigore nel 2003. Si è passati da un sistema PAYG [1] a beneficio definito (a ripartizione retributiva) in uno a contributo definito (a ripartizione contributiva). La pensione minima è garantita mentre quella legata alla remunerazione consiste di una componente contributiva di tipo nozionale (NDC) e di una a capitalizzazione a contributo definito (PFDC). L’ammontare dei benefici è cambiato. Con le regole precedenti essi erano basati sui 15 anni di lavoro che presentavano il reddito lordo più alto all’interno di un minimo di 30 anni di lavoro, mentre con le nuove regole essi sono neutrali, ovvero dipendono dalle contribuzioni che sono state effettuate nel corso dell’intera vita lavorativa, nonché dal numero di anni di lavoro e dall’aspettativa di vita al momento del ritiro dal mondo del lavoro.
In accordo con il principio di neutralità attuariale, la riforma del 1999 ha anche modificato le regole esistenti sull’età di pensionamento. Fino a quella data l’età obbligatoria per la pensione era di 65 anni, ma i benefici pensionistici potevano partire dai 61 anni (con una riduzione dell’ammontare) e raggiungere i 70 anni (con un aumento del vitalizio). In particolare, la pensione era ridotta dello 0,5 per cento - fino ad una riduzione massima del 24 per cento - per ogni mese di ritiro fra i 61 e i 65 anni, mentre essa era aumentata dello 0,7 per cento – fino ad un massimo del 42 per cento – per ogni mese di differimento fino all’età di 70 anni.
Il sistema svedese post-riforma è caratterizzato da grande flessibilità: il ritiro può iniziare fra i 61 e i 67 anni di età, e si può lavorare anche dopo i 67 anni con il consenso del datore di lavoro.

[1] Acronimo inglese di Pay as you go.

SISTEMA PENSIONISTICO DANESE
In Danimarca esiste un sistema con tre pilastri. Il primo presenta due tipologie: una pensione sociale PAYG a tasso proporzionale (folkepension) e una pensiona supplementare per il mercato del lavoro (ATP).
La folkepension è uno schema universale PAYG, per avere il quale occorre solo avere cittadinanza danese, mentre l’ammontare del beneficio è proporzionale alla lunghezza della residenza nel paese (40 anni di residenza è il massimo per ottenere la pensione piena). Questa pensione è correlata negativamente al reddito: in effetti, le persone che hanno una fonte di reddito addizionale (ad es. il reddito da lavoro) eccedente una determinata soglia subiscono una riduzione del beneficio pari al 30 per cento dello stesso reddito addizionale.
La seconda tipologia – la pensione supplementare, o ATP – riguarda i lavoratori con più di 9 ore lavorate a settimana. L’ammontare si basa sulla durata della permanenza all’interno del sistema pensionistico e sui contributi versati, che non dipendono dal reddito da lavoro ma dallo stesso numero di ore lavorate.
Il secondo pilastro è costituito principalmente da fondi pensione chiusi, mentre il terzo da sistemi di risparmio individuali.
Quanto all’età di pensionamento, la riforma del 1999 entrata in vigore il 1-7-2004, l’ha ridotta dai 67 ai 65 anni per tutte le persone nate dopo il 1-7-1939. D’altro lato essa ha ristretto l’accesso ai generosi trattamenti pensionistici di anzianità. L’obiettivo di queste due operazioni è quello di aumentare l’età media effettiva di pensionamento.
Una nuova riforma sta gradualmente reintroducendo il requisito dei 67 anni sia per la vecchiaia che per l’anzianità.La legislazione corrente stabilisce che l’età minima di pensionamento sia di 65 anni senza possibilità di pensionamento per anzianità ma permette il differimento con un aggiustamento attuariale dei benefici sino all’età di 70 anni. Allo stesso modo, la pensione ATP cresce di una percentuale fissa per ogni mese di differimento.

SISTEMA PENSIONISTICO FINLANDESE
Vi è una parte del sistema legata alla remunerazione dei lavoratori, e vi sono anche delle pensioni minime, correlate negativamente con il reddito. La pensione legata alla remunerazione è in parte finanziata con contribuzioni ed in parte con il sistema PAYG.
La riforma del 2001-02, è entrata in vigore nel 2005. Prima della riforma l’età pensionabile era di 65 anni, ma era possibile un prepensionamento per il settore privato fra i 60 e i 64 anni: tuttavia, la riduzione della pensione di anzianità era pari allo 0,4 per cento per ogni mese di ritiro anticipato. Anche il ritiro posticipato era possibile, con un incremento dello 0,6 per cento per ogni mese di posponimento, ma senza diritti pensionistici addizionali che maturavano con l’estensione della carriera. Per calcolare i benefici, i guadagni pensionabili (indicizzati ai livelli odierni) erano moltiplicati a tassi di maturazione dipendenti dall’età. Essi erano semi-proporzionale: 1,5% all’anno per i guadagni sino all’età di 59 anni e 2,5% per quelli fra i 60 e i 65 anni.
In generale, gli incentivi a lavorare più a lungo – in termini di tassi di sostituzione – in Finlandia sono abbastanza bassi: il differimento di 7 anni – dai 63 ai 70 – aumenta il tasso di rimpiazzo solo del 5%.La riforma del 2005 ha cambiato le regole ed ha introdotto la “finestra” del pensionamento flessibile fra i 63 e i 68 anni, e la possibilità di pensionamento d’anzianità a partire dai 62 anni. Gli incentivi a ritardare l’età di pensionamento sono forniti dall’applicazione di più alti tassi di maturazione e, rispetto al pensionamento differito, dagli aggiustamenti attuariali. In particolare, la riforma ha stabilito valori dei primi pari all’1,5 per cento fino all’età di 52 anni, all’1,9 per cento fra i 53 e i 62 anni e al 4,5 per cento dai 63 anni in su. Nel periodo in cui è stato possibile andare in pensione con l’anzianità (12 mesi), la pensione legata ai guadagni è stata ridotta dello 0,6 per cento per ogni mese. Il sistema pensionistico finlandese permette anche un differimento illimitato: quando si va in pensione dopo la finestra di pensionamento viene applicato un aggiustamento attuariale dello 0,4 per cento al mese (4,8 per cento all’anno).

SISTEMA PENSIONISTICO SPAGNOLO
Il sistema spagnolo pubblico consiste di uno schema PAYG obbligatorio e di uno senza contribuzione, che fornisce benefici a tasso proporzionale a persone sopra i 65 anni o ai disabili che non hanno diritto ad una pensione contributiva. Ovviamente, i benefici della prima componente sono legati alle remunerazioni da lavoro e al numero di anni di contribuzione. La normale età di pensionamento in Spagna è di 65 anni, con un requisito minimo di anzianità pari a 15 anni. Per avere una pensione piena però occorre aver maturato 35 anni di anzianità.
Nel 2002 è stato avviato un forte processo di riforma, ed è stato introdotto un sistema a pensionamento flessibile che ha avuto lo scopo di estendere la vita lavorativa delle persone più anziane. L’introduzione di tale sistema è stato uno dei risultati di un processo iniziato nel 1996 con l’implementazione del “Patto di Toledo” (1995). Tale processo ha portato nell’aprile 2001 ad un accordo fra governo, rappresentanti degli industriali e sindacati che è entrato in vigore il primo gennaio 2002.
Per quanto riguarda l’età di pensionamento, la legge del 2002 ha introdotto alcune misure di flessibilità. Anche se l’età di pensionamento normale è fissa a 65 anni, vi è la possibilità di andare in pensione in via anticipata. In particolare, i lavoratori che hanno iniziato ad apportare contributi previdenziali prima del 1967 possono ritirarsi dalla vita lavorativa dall’età di 60 anni, mentre quelli che hanno versato contributi per almeno 30 anni e sono rimasti disoccupati per almeno 6 mesi per cause indipendenti dalla loro volontà possono andare in pensione a 61 anni. In entrambe le fattispecie il pensionamento per anzianità è penalizzato da una riduzione percentuale per ogni anno prima dei 65 di età.Ma vi è di più: il sistema pensionistico spagnolo fornisce un incentivo a pensionarsi più tardi dei 65 anni, fatto salvo il requisito dei 35 anni di anzianità. Più specificatamente, si tratta dell’esenzione al pagamento dei contributi sociali a carico dei lavoratori che a carico dei datori di lavoro su tutte le remunerazioni di coloro che hanno superato i 65 anni di età. La stessa norma vale anche per i lavoratori autonomi.

SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO
Dal 1992 il sistema pensionistico italiano ha subìto una serie di profondi cambiamenti diretti a correggere i suoi problemi strutturali: un’insufficienza sistematica di contribuzioni per coprire gli esborsi, una forte redistribuzione e un’età di pensionamento effettiva relativamente bassa, causata da requisiti di idoneità generosi. Conseguentemente, vennero attuate due riforme importanti nel 1992 e nel 1995, seguite da altre misure nel 1997 e nel 2004.
Sino al 1992 il sistema pensionistico era a beneficio definito. Il suo ammontare si basava sul livello della remunerazione che era stata raggiunta negli ultimi 5 anni di lavoro per un dipendente del settore privato, nell’ultimo anno di lavoro per un dipendente di quello pubblico e degli ultimi 10 anni di lavoro per un lavoratore autonomo. L’età minima per il pensionamento era di 60 anni per gli uomini e 55 per le donne, con una anzianità di almeno 15 anni. Vi era anche una pensione di anzianità che dipendeva esclusivamente dal raggiungimento dei 35 anni di anzianità nel settore privato e da 20 anni nel settore pubblico.
La riforma del 1995 ha cambiato il sistema a beneficio definito (DBF) in uno a contributo definito di tipo nozionale (NDC). L’uniformità di trattamento è stata resa effettiva attraverso la corrispondenza attuariale fra contributi e benefici. Il sistema a ripartizione contributiva è stato accompagnato da condizioni di pensionamento flessibili: la legge ha stabilito un’età minima e massima di pensionamento al quale esso è possibile, ovvero 57-65 anni sia per gli uomini che per le donne; un periodo minimo di contribuzioni (5 anni); la condizione che il beneficio pensionistico maturato sia almeno uguale a 1,2 volte la pensione sociale di indennità (in caso negativo, il pensionamento può avvenire solo a 65 anni, nel qual caso viene pagato almeno il minimo sociale); l’aggiustamento dei coefficienti di trasformazione (ovvero i coefficienti di rendita necessari a convertire le contribuzioni al pensionamento in effettivi benefici in denaro) solo fino a 65 anni, età dopo la quale il lavoratore può continuare a lavorare ma senza che il coefficiente sia ulteriormente aumentato. Poiché questa riforma non è totalmente entrata in vigore, i suoi effetti saranno posposti dopo un lungo periodo di transizione.
La riforma del 1997 ha anticipato l’entrata in vigore di requisiti più stretti riguardanti le pensioni di anzianità [1], mentre quella del 2004 ha rafforzato i requisiti di idoneità per tali tipi di trattamenti sia durante il periodo di transizione che in quello di pieno vigore della riforma.
In effetti la riforma del 2004 ha aumentato i requisiti minimi per le pensioni di anzianità. A partire dal 2008 i dipendenti del settore privato potranno andare in pensione di anzianità a quota 95 (35 anni di contributi e 60 anni di età): dal 2010 la quota sarà pari a 96 (con 61 anni di età), mentre dal 2014 sarà pari a 97 (con 62 anni di età). Alternativamente, si potrà scegliere di andare in pensione di anzianità a qualsiasi età ma con 40 anni di contributi. Inoltre, i lavoratori la cui pensione sarà interamente calcolata secondo il sistema a ripartizione contributiva (contributo definito) possono andare in pensione a 65 anni con qualsiasi anzianità (60 per le donne).
Fino al 2015, le donne potranno decidere se andare in pensione a 57 anni con 35 di anzianità, a patto che esse vorranno ricevere dei benefici calcolati con un sistema contributivo di tipo nozionale.Nel 2004 è stato anche introdotto un incentivo al differimento nel settore privato: sino al 31 dicembre 2007 (bonus) i lavoratori che continuano a lavorare senza aumenti dei contributi riceveranno un aumento di salario uguale all’ammontare del contributo previdenziale (32,7 per cento del salario lordo).

[1]
In particolare si è anticipato dal 2006 al 2002 la famosa norma relativa alla quota 92 (35 anni di contributi con 57 anni di età).

SISTEMA PENSIONISTICO FRANCESE
Il sistema francese è di tipo PAYG, ed è caratterizzato da una grande eterogeneità fra gli schemi delle diverse categorie di lavoratori. Un processo di riforma avviato nel 2003[1], ha considerevolmente modificato le regole esistenti, armonizzando i differenti trattamenti e la sperequazione fra dipendenti pubblici e privati[2]. La riforma del 2003 non ha cambiato l’età minima di pensionamento che rimane ferma a 60 anni, anche se coloro che hanno iniziato a lavorare prima dei 17 anni e sono impiegati in particolari settori, possono andare in pensione prima di quell’età: comunque, i requisiti di anzianità per l’ottenimento della pensione piena è di 40 anni di contribuzioni (160 trimestri)[3].
I canali più importanti introdotti dal legislatore per permettere una più ampia flessibilità dell’età di pensionamento sono i cosiddetti meccanismi “surcote” e “décote”.
Il primo riguarda le persone con più di 60 anni che soddisfanno le condizioni per l’ottenimento di una pensione piena. Essi riceveranno un incremento della pensione di circa il 3 per cento per ogni anno supplementare di lavoro (o di uno 0,75 per cento per ogni successivo trimestre).D’altro canto, la legge del 2003 ha riformato anche il cosiddetto “décote”, ovvero la possibilità di andare in pensione fra i 60 e i 65 anni con un assegno ridotto, ovvero per tutti coloro che non soddisfano pienamente i requisiti per una pensione piena. Prima del 2003 vi era una larga differenza fra settore pubblico e settore privato: mentre i dipendenti del settore privato potevano andare in pensione fra i 60 e i 65 anni ma con riduzioni molto forti – 10 per cento per ogni anno in meno – per i dipendenti della pubblica amministrazione questa possibilità non esisteva. La riforma del 2003 ha stabilito una graduale convergenza di queste regole diverse verso un valore attuariale neutro di un coefficiente di “décote” pari al 5 per cento per ogni anno mancante sia per i dipendenti del settore pubblico che per quelli del settore privato (in quest’ultimo caso dal 2013).

[1] Un precedente è stato avviato nel 1993, ed ha progressivamente aumentato il numero di anni di contributi richiesti per raggiungere la pensione piena, dai 37,5 per le generazioni nate prima del 1943, ai 40 anni per quelle nate dopo il 1943. Nello stesso tempo le regole di calcolo dei benefici pensionistici sono aumentate da 10 a 25 anni. Inoltre, la riforma del 1993 ha stabilito che la rivalutazione dei salari passati dovesse basarsi sui prezzi passati invece che sui salari.
[2] Purtroppo, non sono stati previsti enormi cambiamenti per i cosiddetti Regimes Speciaux de Retraites, una categoria eterogenea che include alcune importanti imprese pubbliche come la SNCF.
[3] Il requisito è stato modificato nel periodo 1994-2003 per i dipendenti del settore privato, e aumenterà sino a 40 anni per quelli del settore pubblico nel 2008. Vi sarà un ulteriore aumento sino a 42 anni di contribuzione per entrambi i settori nel 2012.


SISTEMA PENSIONISTICO TEDESCO
La parte principale del sistema pensionistico tedesco è “l’assicurazione pubblica di pensionamento” che copre i dipendenti del settore privato e di quello pubblico atipici, ovvero l’85 per cento dell’intera forza lavoro. A cominciare dagli anni ’90, molte riforme hanno modificato la struttura del sistema pensionistico tedesco, determinando la sua graduale evoluzione da uno schema monolitico come fu costruito nel 1972 – ad un sistema flessibile con vari pilastri. Le riforme più importanti sono avvenute nel 1992, nel 1999 e nel 2001.
Anche se prima del 1992 l’età di pensionamento normale era di 65 anni per gli uomini e di 60 per le donne e per i disoccupati, numerosi modi per ottenere delle pensioni anticipate permettevano ai lavoratori di ritirarsi ante tempo dalla vita attiva. Ambedue le riforme del 1992 e del 1999 hanno cercato di semplificare il sistema in modo tale da scoraggiare i pensionamenti anticipati.
L’innovazione centrale del 1992 è stata l’introduzione di un fattore di aggiustamento esplicito – che tuttavia non era neutrale dal punto di vista attuariale – per i pensionamenti precedenti l’età di pensionamento normale, ovvero i 65 anni. Secondo questa riforma, l’ammontare del beneficio pensionistico è stato ridotto di 0,3 punti percentuali per ogni mese di pensionamento anticipato (con un massimo del 10,8 per cento) ed aumentato dello 0,5 per cento per ogni mese di posticipo.
Anche se il cambio di governo ha determinato l’abrogazione di alcuni dei suoi propositi, la riforma del 1999 ha stabilito un aumento graduale dell’età pensionabile fino a raggiungere i 65 anni anche per donne e disoccupati. La modifica dovrebbe essere pienamente implementata per il 2017.
Nel 2001 il governo tedesco ha approvato la cosiddetta Riforma Riester – entrata in vigore a partire dal 2002 – che ha introdotto in Germania gli ormai famosi pilastri del sistema pensionistico: la caratteristica principale della riforma è stata, invero, l’introduzione e lo sviluppo delle pensioni supplementari – individuali o di categoria – con l’intento di colmare la riduzione dei tassi di sostituzione.
Tuttavia, lo squilibrio finanziario del sistema necessita una nuova riforma. Nel 2003 la è stata creata la Commissione Rürup con lo scopo di elaborare un proposito di riforma. Molti suggerimenti della commissione sono stati in effetti tradotti in legge. Fra di essi, uno dei cambiamenti più importanti è stata l’introduzione – nel 2004 – del fattore di sostenibilità, dipendente dall’indice di dipendenza demografica degli anziani[1], nella formula di indicizzazione del beneficio. Al contrario, la proposta di aumentare l’età pensionabile dai 65 ai 67 anni è stata in seguito scartata. Recentemente però, è stato programmato un aumento dell’età per ottenere le pensioni erogate dai singoli länder dai 65 ai 67 anni fra il 2012 e il 2029.La legislazione corrente fissa l’età di ritiro a 65 anni. Hanno possibilità di pensionamento anticipato alcune categorie di lavoratori, come le donne, i disabili e i disoccupati solo dopo l’età di 60 anni e rispettando alcuni requisiti sull’anzianità. In questo caso l’ammontare dei vitalizi viene ridotto dello 0,3 per cento per ogni mese di ritiro anticipato. D’altro canto è possibile il posponimento illimitato con un aumento dei benefici dello 0,5 per cento per ogni mese di ritardo rispetto all’età legale.

[1] Numero di persone con oltre 65 anni diviso il numero di persone potenzialmente indipendenti fra i 15 e i 64 anni. Non deve essere confuso con l’indice di vecchiaia che è dato dal rapporto fra persone con più di 65 anni e persone con meno di 15 anni.

SISTEMA PENSIONISTICO NEL REGNO UNITO
Il sistema di sicurezza sociale britannico è composto da uno schema pubblico costituito da una pensione di stato di base di tipo contributivo a contributo proporzionale e da una componente legata alla remunerazione chiamata Seconda pensione di Stato. Quest’ultima ha sostituito il vecchio schema pensionistico legato al reddito nel corso del 2002, introducendo nuove caratteristiche di flessibilità.
L’età per la pensione di Stato è fissata a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne, ma per esse è previsto un graduale aumento fra il 2010 e il 2020 fino all’equiparazione con gli uomini. Per avere diritto ad una pensione piena, gli uomini devono aver contribuito alla previdenza sociale (National Insurance) per 44 anni e le donne per 39 anni, anche se gli anni di contribuzione per queste ultime saranno progressivamente equiparati a quelli degli uomini fra il 2010 e il 2020.
Dal 1989 è possibile ricevere una pensione statale e continuare a lavorare senza nessuna penalizzazione. Inoltre, la richiesta di pensionamento può essere ritardata. Fino al 31-3-2005 entrambe le tipologie potevano essere posticipate sino all’età di 70 anni, con un aumento del beneficio pari all’1 per cento ogni 7 settimane di ritardo. Dall’aprile 2005, l’assegno pensionistico aumenta dell’1 per cento per ogni 5 settimane di differimento con possibilità di differimento di entrambe le tipologie di pensione. Inoltre, i lavoratori che decidono di ritardare la richiesta di pensione di almeno un anno possono scegliere di ottenere il beneficio differito in forma forfettaria piuttosto che come aumento dei futuri assegni pensionistici; il beneficio differito matura interessi superiori del 2 per cento rispetto al tasso di interesse base della Banca d’Inghilterra.
La legislazione del Regno Unito non concede nessuna possibilità di pensionamento parziale, anche se esso è previsto per introdurre la possibilità di cumulo fra reddito da lavoro e pensione.
È invece possibile un alto grado di flessibilità nell’età pensionabile nel terzo pilastro del sistema, quello delle pensioni personali e quello delle pensioni da azionista. Per quel che riguarda il primo, i benefici possono avere forma di rendita vitalizia annuale o di capitale ritirato in unica soluzione. Un individuo può ottenere la sua annualità fra il 60esimo ed il 75esimo anno. Allo stesso modo, la somma maturata può essere ritirata dal fondo nell’arco dello stesso quindicennio. Dal 2010, l’età per ottenere la prima annualità (o per ritirare i soldi) sarà portata gradualmente a 65 anni in linea con l’aumento dell’età femminile per la pensione di Stato.Le pensioni da azionista sono estremamente flessibili, e possono essere liberamente trasferite da un gestore all’altro nei limiti del costo di gestione che viene caricato annualmente. Esse sono pagate sotto forma di rendita annuale, ottenibile fra i 50 (55 dal 2010) ai 75 anni, utilizzando il denaro investito nel fondo pensione.

IL SISTEMA PENSIONISTICO NEI PAESI BASSI
Il primo pilastro del sistema pensionistico olandese è una pensione a contribuzione proporzionale di tipo PAYG (indicato in lingua fiammingo-olandese con l’acronimo AOW) pagata a tutti i residenti a partire dall’età di 65 anni, e non legata al fatto di aver fatto parte della forza lavoro. Essa non dipende quindi dai mezzi di sostentamento a disposizione, né dal reddito guadagnato o dai contributi apportati, ma dalla composizione della famiglia del richiedente e dalla lunghezza della residenza nel paese: una coppia di anziani con almeno 65 anni di età riceve una somma pari al salario netto minimo (ad esempio il 55% del salario medio), mentre un pensionato che vive da solo riesce ad ottenere il 70% del salario medio. La pensione massima può essere ottenuta a condizione che si risieda nei Paesi Bassi da almeno 50 anni e quindi fra i 15 e i 65 anni; per ogni anno in meno viene dedotto un 2 per cento dall’ammontare potenziale. L’età pensionabile è di 65 anni, anche se ad oggi si sta aprendo un dibattito sull’opportunità di alzarla sino a 67 anni o su quella di stabilire una finestra per il pensionamento flessibile.
Il secondo pilastro riguarda i fondi pensione di categoria. Il 96 per cento di questi fondi sono a beneficio definito e la maggior parte di essi hanno l’obiettivo di fornire un tasso di sostituzione che, con 40 anni di contributi e insieme all’AOW, raggiunga il 70% dell’ultimo reddito da lavoro percepito.
L’età alla quale si può chiedere l’erogazione della pensione dal fondo chiuso è in genere di 65 anni. Nei primi anni ’90, il governo olandese, le organizzazioni patronali e sindacali hanno riconosciuto che i sistemi di pensionamento facile avevano degli effetti disincentivanti sull’offerta del lavoro e sulla produttività. Conseguentemente si decise di trasformare il sistema PAYG in un sistema a capitalizzazione dal punto di vista attuariale assolutamente neutro, con la possibilità di andare in pensione ad età anche piuttosto giovani: tuttavia, vi sono molte differenze fra i diversi settori sia nel periodo di implementazione che nelle date di inizio dei periodi transitori. I fondi di categoria permettono ai lavoratori di continuare a lavorare anche dopo i 65 anni, ma senza che maturino altri diritti pensionistici. Come per le pensioni AOW, anche i fondi di categoria possono essere combinati senza limite con il reddito da lavoro. Inoltre, alcuni di questi schemi permettono che i lavoratori a fine carriera riducano le loro ore lavorate e ricevano una pensione parziale.

SISTEMA PENSIONISTICO IN POLONIA
Ai tempi del socialismo reale il sistema pensionistico polacco era bilanciato. Il debito pensionistico[1] sotto controllo e una età pensionabile effettiva vicina a quella legale rendevano i benefici pensionistici vicini alla neutralità attuariale. Tuttavia, nel 1991, l’introduzione del libero mercato rese necessari dei cambiamenti. La cosiddetta “Legge della Rivalutazione” cambiò le regole di calcolo delle pensioni rafforzando il legame fra contributi e benefici e aumentando il valore della pensione per compensare l’alta inflazione. La legge restrinse inoltre anche la possibilità di poter cumulare la pensione con i redditi da lavoro, ed introdusse dei nuovi principi di indicizzazione e un livello minimo di garanzia sui benefici.
Il deficit in aumento che seguì la riforma del 1991 aprì un dibattito pubblico – che divenne più intenso durante la seconda metà degli anni ’90 – sulle possibili opzioni di riforma del sistema pensionistico polacco. Il dibattito portò all’approvazione, nel 1998, del piano di riforma “Sicurezza mediante Diversità”. Questa riforma, che entrò in vigore il 1-1-1999, riguardava solo i lavoratori iscritti nelle casse pensioni che avevano meno di 50 anni nel momento della partenza della nuova normativa, ovvero quelli nati dopo il 31-12-1948. La nuova legge ha modificato il vecchio sistema a beneficio definito in uno schema a contribuzione definita di tipo classico, che ha reso più stringente il legame fra contributi e benefici. Le nuove pensioni dipendono dai contributi indicizzati pagati dopo il 1-1-1999 e, nella misura in cui vengono interessati coloro che rientrano nel vecchio sistema, sul cosiddetto “capitale iniziale indicizzato”: ad ogni persona rientrante nello schema più datato è stata calcolata una pensione ipotetica che corrisponde a ciò che quella persona avrebbe ricevuto al 1-1-1999: questa pensione ipotetica è moltiplicata per l’aspettativa media di vita delle donne e degli uomini di 62 anni di età, e costituisce il valore del capitale iniziale. Quindi si calcola l’ammontare della pensione dividendo la somma fra capitale iniziale e delle contribuzioni pagate con il nuovo sistema con l’aspettativa media di vita al momento del pensionamento.
Il sistema polacco non fissa un’età pensionabile base ma solo una minima che è 60 anni per le donne e 65 per gli uomini, senza alcuna possibilità di pensionamento per anzianità. Non è necessario alcun requisito riguardante gli anni minimi di contribuzione per ricevere una pensione di vecchiaia: tuttavia, il forte legame fra contributi pagati e benefici ottenuti è un incentivo a lavorare più a lungo e a posporre il ritiro per ottenerne di più alti.

SISTEMA PENSIONISTICO IN LETTONIA
Il principale processo di riforma del sistema pensionistico lettone – dopo l’indipendenza del 1991 – è iniziato nel 1994: dopo la richiesta di aiuto alla Banca Mondiale, il governo lettone formò un gruppo di lavoro composto da esperti svedesi e lettoni che aveva lo scopo di sviluppare il nuovo sistema pensionistico. Il risultato fu raggiunto nel 1995, anche se l’efficacia della riforma partì dal gennaio 1996. Le regole precedenti cambiarono radicalmente: anche la Lettonia scelse un sistema multipilastro, con al centro un sistema PAYG caratterizzato da un forte legame fra benefici e contributi, in linea con le regole dei sistemi a contributo definito di tipo nozionale.
L’età minima di pensionamento è stata portata a 60 anni sia per gli uomini che per le donne. Nello stesso tempo è stato introdotto un certo grado di flessibilità. La formula di calcolo della pensione incoraggia il differimento del ritiro dal lavoro, mentre i pensionamenti anticipati sono possibili solo per le donne con più di 10 anni di anzianità, ma con una pensione ridotta.
Nel 1999 è entrata in vigore un’altra riforma. È stato stabilito un ulteriore graduale innalzamento dell’età minima pensionabile (62 anni per uomini e donne): per gli uomini l’età è cresciuta di 6 mesi per ogni anno a partire dal 2000 (con un regime raggiunto quindi il 1-1-2003), mentre per le donne è cresciuta di un anno nel 1996 e di 6 mesi per ogni anno successivo, cosicché esse raggiungeranno un’età minima pensionabile di 62 anni nel 2008.
La facoltà di pensionamento anticipato è stata estesa anche agli uomini, che – almeno fino al luglio 2008 – potranno ritirarsi dal lavoro anche con due anni di anticipo. Ovviamente il beneficio che conseguiranno sarà diminuito in senso attuariale e sarà ridotto del 20 per cento se non avranno raggiunto l’età obbligatoria di pensionamento.
Il sistema lettone non permette alcun pensionamento parziale, mentre è possibile il cumulo solo fra pensione massima e lavoro, ammesso che l’ammontare della pensione non ecceda una soglia stabilita basata sul beneficio della sicurezza dello stato sociale. In tal caso il lavoratore continua a pagare contributi ed accumula un ricchezza pensionistica addizionale.

[1] Differenza fra i valori attualizzati dei contributi previdenziali che le casse e lo Stato ottengono e quello degli esborsi per il pagamento dei benefici pensionistici. Non viene considerato all’interno del debito pubblico per due ordini di ragioni: a) difficoltà oggettive di calcolo (e soprattutto di rinvenimento del tasso di sconto); b) mancanza del carattere dell’obbligatorietà che invece caratterizza il contratto che lega un debitore che emette il titolo e un creditore che lo sottoscrive per ottenere un futuro flusso di interessi.

26 dicembre 2006

All’indomani della solennità del Natale

Le Parole del Papa alla recita dell'Angelus del 26.12.2006



Si celebra oggi la festa di santo Stefano, diacono e primo martire.
Santo Stefano fu il primo a seguire le orme di Cristo con il martirio; morì, come il divino Maestro, perdonando e pregando per i suoi uccisori (cfr At 7,60).

Il Papa Benedetto XVI continua nella introduzione all'Angelus...<< "Con speciale vicinanza spirituale, penso anche a quei cattolici che mantengono la propria fedeltà alla Sede di Pietro senza cedere a compromessi, a volte anche a prezzo di gravi sofferenze.">> Il Santo Padre parla dei cattolici della Cina che devono sopportare una condizione simile a quella che i cristiani vivevano nelle catacombe. ( Link al testo integrale )


















Cristiani cinesi in preghiera






23 dicembre 2006


Un augurio a tutti !

Buon Natale e felice Anno Nuovo.

22 dicembre 2006

IL TFR, L’INPS e la riduzione di crescita di lungo periodo

( Postato da Re di Roma )

Il prossimo anno i lavoratori del settore privato impiegati nelle grandi imprese (con oltre 50 addetti), potranno decidere se destinare l’incremento del proprio TFR alla previdenza complementare (con possibilità di silenzio-assenso) oppure vederlo trasferito (con opportuna loro richiesta) presso un fondo acceso all’Inps. Le regole di gestione saranno le stesse vigenti nelle imprese private e il suo rendimento sarà immutato (1,5 per cento più 0,75 per cento del tasso di inflazione). Il cambiamento sostanziale dunque non avverrà dal punto di vista microeconomico, quanto da quello macroeconomico: si passerà infatti da una gestione secondo il principio di capitalizzazione ad una secondo quello a ripartizione.
Nella capitalizzazione il Tfr viene registrato nello stato patrimoniale delle imprese fra le voci passive, poiché non genera uscite di cassa – se non per le liquidazioni pagate durante l’anno a chi si licenzia o a chi va in pensione, o a coloro che dopo 8 anni di anzianità chiedono anticipi per spese mediche o d’acquisto della prima casa. Conseguentemente, il denaro accantonato come Tfr è equivalente a quello investito in un fondo finanziario non differenziato che investe in obbligazioni emesse dall’azienda in cui il dipendente lavora. Con quel denaro l’impresa può avviare progetti di investimento e – a livello aggregato – serve ad aumentare l’accumulazione di capitale (privato).
Nel principio di ripartizione, il fondo acceso presso l’Inps non darà luogo ad alcuna accumulazione, ma sarà utilizzato per aumentare la spesa pubblica (consumi pubblici e trasferimenti) e contribuisce a diminuire l’accumulazione di capitale (privato) in misura esattamente pari al trasferimento. Se il 30% dei lavoratori delle grandi aziende private aderirà alla previdenza complementare e il 70% deciderà di passare l’incremento del proprio Tfr all’Inps, la perdita di stock di capitale privato per l’intera economia sarà pari a circa 50 miliardi di euro (il 3% del PIL). La riduzione avverrà gradualmente e avrà pieno effetto quando tutti i lavoratori a regime misto (parte del Tfr presso le imprese e parte presso l’Inps) andranno in pensione, ovvero fra circa 40 anni. La riduzione del risparmio privato potrebbe essere compensata da afflusso di capitale estero (con peggioramento della posizione debitoria verso il resto del mondo) o con spese in conto capitale (investimenti pubblici). Ma chi ci garantisce che le spese in conto capitale non saranno solo rifinanziamenti dell’Anas o delle Ferrovie SpA? E chi ci può dire che gli investimenti pubblici che eventualmente verranno effettuati non sarebbero comunque stati avviati anche senza questo fondo? Il problema dell’Italia è la bassa crescita strutturale: questa norma di certo non l’aiuta.

12 dicembre 2006

Scappata de casa:
"carlotta_red 05"

Questa ragazza bolognese di 26 anni circa, laureata e di madre lingua francese è una vera anima in pena. Di indole tradizionale e gentile, soffre evidentemente delle influenze malefiche dei suoi amici comunisti e no global. La sorella, che conosco personalmente, molto cristianamente spera nel suo risveglio. Le sue preghiere faranno sì che Carlotta ,un bel giorno di questi, riprenda la sua strada verso una vita positiva, alla luce del sole, senza più serata coi bonghi sulla spiaggia o in qualche rave party . Lo speriamo tutti noi, speriamo che i vari cattivi compagni ( compagni comunisti ) possano scomparire, come invoca il celebre esorcismo " come la cera si scioglie al fuoco". Sentiremo parlare di Carlotta.

08 dicembre 2006

Sondaggio: Il peggiore della Chat

Ancora on line il sondaggio a risposta singola su il peggiore della chat. I più votati sono naturalmente i chatters più attivi; quelli che invadono la scena con le loro performance audio e con la modalità tradizionale della tastiera; per i risultati andate a vedere voi stessi. I risultati di questo sondaggio nato per gioco sono la dimostrazione che nella chat ci sono quelli che ascoltano; quelli che hanno un opinione su lakanna o su paolo il venetia. In definitiva il popolo della chat politica ha espresso il suo voto.Chiaramente ci saranno, e già ci sono, quelli che urleranno al taroccamento o al trucco dei voti. Sempre i soliti: per quelli della sinistra è uno stile di vita; urlare al complotto e negare o stravolgere la realtà. Poi ci sono i fascetti; gente inconsapevole che di fatto è di sinistra. Sono graditi i vostri commenti.