22 dicembre 2006

IL TFR, L’INPS e la riduzione di crescita di lungo periodo

( Postato da Re di Roma )

Il prossimo anno i lavoratori del settore privato impiegati nelle grandi imprese (con oltre 50 addetti), potranno decidere se destinare l’incremento del proprio TFR alla previdenza complementare (con possibilità di silenzio-assenso) oppure vederlo trasferito (con opportuna loro richiesta) presso un fondo acceso all’Inps. Le regole di gestione saranno le stesse vigenti nelle imprese private e il suo rendimento sarà immutato (1,5 per cento più 0,75 per cento del tasso di inflazione). Il cambiamento sostanziale dunque non avverrà dal punto di vista microeconomico, quanto da quello macroeconomico: si passerà infatti da una gestione secondo il principio di capitalizzazione ad una secondo quello a ripartizione.
Nella capitalizzazione il Tfr viene registrato nello stato patrimoniale delle imprese fra le voci passive, poiché non genera uscite di cassa – se non per le liquidazioni pagate durante l’anno a chi si licenzia o a chi va in pensione, o a coloro che dopo 8 anni di anzianità chiedono anticipi per spese mediche o d’acquisto della prima casa. Conseguentemente, il denaro accantonato come Tfr è equivalente a quello investito in un fondo finanziario non differenziato che investe in obbligazioni emesse dall’azienda in cui il dipendente lavora. Con quel denaro l’impresa può avviare progetti di investimento e – a livello aggregato – serve ad aumentare l’accumulazione di capitale (privato).
Nel principio di ripartizione, il fondo acceso presso l’Inps non darà luogo ad alcuna accumulazione, ma sarà utilizzato per aumentare la spesa pubblica (consumi pubblici e trasferimenti) e contribuisce a diminuire l’accumulazione di capitale (privato) in misura esattamente pari al trasferimento. Se il 30% dei lavoratori delle grandi aziende private aderirà alla previdenza complementare e il 70% deciderà di passare l’incremento del proprio Tfr all’Inps, la perdita di stock di capitale privato per l’intera economia sarà pari a circa 50 miliardi di euro (il 3% del PIL). La riduzione avverrà gradualmente e avrà pieno effetto quando tutti i lavoratori a regime misto (parte del Tfr presso le imprese e parte presso l’Inps) andranno in pensione, ovvero fra circa 40 anni. La riduzione del risparmio privato potrebbe essere compensata da afflusso di capitale estero (con peggioramento della posizione debitoria verso il resto del mondo) o con spese in conto capitale (investimenti pubblici). Ma chi ci garantisce che le spese in conto capitale non saranno solo rifinanziamenti dell’Anas o delle Ferrovie SpA? E chi ci può dire che gli investimenti pubblici che eventualmente verranno effettuati non sarebbero comunque stati avviati anche senza questo fondo? Il problema dell’Italia è la bassa crescita strutturale: questa norma di certo non l’aiuta.

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